To Believe è la realtà che segue il sogno, una introspezione dotata della grazia che da sempre contraddistingue i The Cinematic Orchestra
Sapete quanti anni sono passati dall’ultimo album in studio dei The Cinematic Orchestra? Dodici lunghissimi anni, tanto è il tempo che ci separa da quel lontano, bellissimo Ma Fleur che ci aveva definitivamente convinto di quanto questi ragazzi inglesi fossero bravi. Ecco, dopo tanto temporeggiare è stato finalmente pubblicato (ovviamente con la Ninja Tune) To Believe, l’ultima impresa di Swinscoe e compagni. Se ne sia valsa la pena di attendere così tanto, questo lo lascio a voi, ma sarà difficile non lasciarsi indurre al perdono di fronte ad un’opera così curata e, tutto sommato, convincente. Ma andiamo con ordine.
Nel lungo iato fra le due produzioni, i TCO non sono rimasti esattamente con le mani in mano. In coerenza con il loro nome, la band inglese ha prestato la propria arte a cinema, televisione, videogiochi, pubblicità; in altre parole, sono diventati ricchissimo materiale da soundtrack, spesso con risultati eccellenti.
Mentre in Italia raramente abbiamo avuto modo di ascoltare fuori dalla sede naturale brani come All Things to All Men o Channel 1 Suite, se vi piacciono i fenicotteri rosa o Stephen Hawking, potreste aver già sentito, ad esempio, Arrival of the Birds. Se poi non siete mai incappati, guardando film o serie televisive, in To Build a Home, vi consiglio di guardarvi intorno: probabilmente il posto dove vi trovate non è il pianeta Terra.
La lunghissima lista di featuring, progetti paralleli e collaborazioni varie ha dato modo ai Cinematic Orchestra di sviluppare una certa maturità musicale e un certo gusto per la musica funzionale, vista alla loro maniera. Una colonna sonora, se estrapolate dalla sede a loro destinata, spesso (ma non sempre) suonano un po’ stralunate o fuori luogo. I TCO, invece, appartengono a quella ristretta cerchia artistica in cui si compone musica che va oltre il mero funzionare quando viene decontestualizzata, ma che ha perfino la capacità di raccontare una storia a sé stante, indipendente dall’opera cui si accompagna.
Con gli album, però, il discorso è diverso: quando si mettono insieme i brani di una produzione propria, molti musicisti cercano di portare avanti un preciso progetto artistico, che nel caso dei Cinematic Orchestra era incentrato sulla fusione tra le istanze più moderne del jazz e generi più artificiali, come l’elettronica o il pop.
In To Believe, di jazz ce n’è abbastanza, ma non troppo, ed è soprattutto relegato ad alcuni pezzi precisamente individuati, di fattura particolarmente pregevole; spiccano la suite uptempo di 9 minuti Lessons o lo stile stralunato e sospeso di Zero One/This Fantasy.
Per il resto, viene lasciato ampio spazio a performance vocali di qualità (Wait For Now/Leave The World, con la partecipazione di Beverly Tawiah) e a testi intrisi di spiritualità (To Believe, a cui presta la voce un ottimo Moses Sumney). Dal punto di vista compositivo, l’album è eterogeneo, pur essendo complessivamente molto curato, e vi trovano spazio anche il beat pulsante di Roots Manuva o le suggestioni cinematografiche di The Workers of Art.
Abbandonati (in parte) gli orizzonti luminosi e la maestosità orchestrale di Ma Fleur, i TCO si sono calati in una dimensione più terrena ed immanente, ma non per questo meno profonda. To Believe è tutto fuorché un disco semplice, per varie ragioni.
Intanto, le tematiche trattate (fede, speranza, spiritualità) mal si attagliano ad un ascolto distratto, ma richiedono completa attenzione e capacità di discernimento. Anche le atmosfere sono molto meno “cinematiche”, e la concretezza delle parole, data la presenza un po’ più massiccia di testi, lascia decisamente meno spazio all’immaginazione.
Dal punto di vista musicale, poi, il diavolo è nei dettagli; per apprezzare appieno la grazia e la raffinatezza compositiva dell’orchestra cinematica, bisogna guardare fra le pieghe di brani apparentemente semplici, abbandonare aspettative e preconcetti ed immergersi fino al capello nel flusso lirico di tracce molto diverse fra loro.
To Believe è la realtà che segue il sogno, ma più che un adagiarsi sul piattume della quotidianità media rappresenta un tentativo di indagare la propria spiritualità, una riflessione fortemente introspettiva portata avanti con l’estrema grazia che da sempre contraddistingue la produzione dei The Cinematic Orchestra.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
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