Luca Guadagnino sceglie Thom Yorke per raccontare le tenebre, le lacrime e i sospiri nel suo remake di Suspiria
A stretto giro, nelle sale cinematografiche,sarà proiettato il remake di uno dei capisaldi dell’horror italiano, Suspiria, cult degli anni 70’ del Maestro Dario Argento. E se il regista Luca Guadagnino, per il candidato agli Oscar Chiamami col tuo nome aveva scelto la dolcezza di Sufjan Stevens, ora per raccontare il brivido, il perenne stato di ansia, la tensione e il terrore, non poteva che scegliere lui, il fine interprete delle umane angosce e variegate sensazioni, messere Thom Yorke.
Così per raccontare le terrificanti vicende dell’accademia di danza stregata, Yorke utilizza una vasta gamma di strumenti, dagli arrangiamenti prettamente rinascimentali alle chitarre rock, dal pianoforte avanguardistico di qualche decennio fa ai synth pompati dei nostri giorni. Tutti ottimi elementi per ricreare attimi di spavento al solo ascolto (figuriamoci accompagnati da succulente immagini), ma anche buoni per molto altro ancora.
Se il film originale degli anni 70’ vedeva il post-rock dei Goblin, Guadagnino per il suo remake sceglie di affidare l’intera colonna sonora al portabandiera degli esperimenti sonori, talmente tanto osannati ed apprezzati, che ad oggi sono pane quotidiano per le orecchie. Ma Yorke, per Suspiria (Music for the Luca Guadagnino film) si spinge ancora più in là, ricreando originali battute, con il risultato di un amplificato impatto emotivo. Suspirium è un valzer, è come richiede il genere, gli stessi giri, le stesse notte, ballano in vortici infiniti fino al momento di stacco andando drammaticamente fuori controllo. Unmade è una silenziosa ballata mentre Has Ended ricrea distopici passaggi con le sue ondate di synth. Ma il pezzo più impressionante forse resta Volk, che con il suo pianoforte ipnotico immagino essere stato scritto per scene in cui le ballerine danzano contorcendosi dolorosamente. Tenebre lacrime e sospiri quelli magistralmente tradotti in 1 ora e 20 minuti di musica da Yorke che si apprezzano senza alcun’ombra di dubbio maggiormente se accompagnate dalle immagini che ne hanno costituito il tappeto.
Quindi sì, ascoltatene tutti, ma andate anche al cinema.
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Nata ad Aversa, da qualche anno a Bologna; belli portici, il melting pot culturale, i tortellini, i concerti, ma l’umidità resta un problema serio. Osservo il mondo immaginandovi una colonna sonora e se c’è del romanticismo alla Serendipity, questa sarà sicuramente Mind Games. La prima cosa che mi interessa dei concerti sono le luci, le luci e la gente. Sogno che un giorno si ritenga importante una rubrica del tipo “La gente che va ai concerti”. Alle feste mi approprio con prepotenza, del ruolo di dj, e adoro quando arriva il momento dei Bee Gees. Faccio classifiche per ogni aspetto dello scibile umano, playlist per ogni momento topico della vita. Canzone d’amore più bella di sempre Something (ma penso di essermi innamorata con Postcards from Italy), per piangere Babe I’m gonna leave you, colazione con Mac de Marco, quando fuori è freddo i Fleet Foxes, ma se c’è divano e film, è subito Billy Joel. Riflessioni esistenziali con Bob Dylan e Coltrane, mi incanto col manuche, shampoo con Beyoncè, terno al lotto con i Beach Boys, libiiiidine con Marvin Gaye. Stupore e meraviglia con The Rain Song, Nina Simone se necessito di autostima, forza e coraggio, sogno infinito con Sidney Bechet.
Potrei continuare, ma non mi sembra il caso. Si accettano suggerimenti e elargiscono consigli.
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