Happy In The Hollow: un sincero abbraccio all’oscurità
Da sempre i TOY si dilettano nel sinistro, ma il quarto album del quintetto, Happy In The Hollow, è il loro più sincero abbraccio all’oscurità.
Se il loro ultimo LP, Clear Shot, era un album moderatamente oscuro, allora Happy In The Hollow si avvicina al buio pesto con solo una piccola torcia accesa per navigarvi. Mentre i loro album precedenti si appoggiavano su un mix di psichedelia, krautrock e shoegaze, il loro ultimo lavoro è molto più fluido, iniettato di post-punk e psichedelia, percorso da quelle melodie che hanno reso questo gruppo così affascinante fin dal principio.
Consapevolmente o no, Sequence One, il brano di apertura, fornisce un robusto esempio della dinamica lirica dell’album (“Smokey sentimental crush / Turn into atomic sludge“).
I TOY non sono una di quelle band impegnate completamente nel romanticismo che provoca gli occhi gocciolanti o nella scioccante scioltezza lunatica ma occupano un terreno lirico accattivante tra il tangibile e l’intangibile.
I loro ritmi motorik, il loro cupo lavoro di chitarra e la voce spettrale di Dougall danno un’aura raccapricciante, mentre i loro vari synth e tastiere contrastano con brillanti crescendo pop. Le loro chitarre sono spesso intensamente ritmiche o strazianti e atmosferiche, ma sempre con uno scopo ben preciso.
Un mondo di vedere le cose in un mondo irreale che si antepone al disperato tentativo di altre band di trasportarti con la loro estetica nei loro universi unici ogni volta che premi play: i TOY lo fanno in modo così naturale con i sintetizzatori inquietanti su Mistake a Stranger, mescolati a dure chitarre acustiche, dimostrando di essere nati in un mondo ultraterreno.
È difficile immaginare chitarre acustiche che sembrino agghiaccianti come in Last Warmth of the Day, strane ma senza esitazione. Energy è il loro taglio più vigoroso e apertamente post-punk che attraverso la parola parlata mistica, le chitarre sferzanti e ritmi simili a motori apre una promettente porta stilistica che potrebbe essere ulteriormente perseguita.
The Willo alleggerisce finalmente lo stato d’animo con la sua giocosa drum machine e, anche se rimane un presagio lirico, possiede un calore percepibile e una rassicurazione sul destino che ti tiene in buone mani. Mentre le voci si incurvano e si concentrano sull’elettro pop di Jolt Awake, i TOY virano in territori più sfuggenti attraverso il riff synth che incolla Mechanism in uno dei migliori momenti dell’album con la sua semplice decadenza e un ritmo meccanico a cui allude il titolo del brano.
Era chiaro dopo il loro album precedente che i TOY avevano bisogno di scuotere un po’ le cose, niente di drastico, solo un leggero riavvio, e facendolo su Happy In The Hollow si ritrovano subito in pista. Più ampio, con melodie più forti e caratterizzato da arrangiamenti estremamente efficienti, il suono dei TOY si sta espandendo dal loro terreno psichedelico per coprire un più ampio territorio. Sempre saldi nel loro groove e suonando più sicuri, padroneggiano il loro mestiere segnando il punto della vittoria con Happy In The Hollow.
Mi chiamo Elena, sono una studentessa dell’Università di Bologna da sempre appassionata di musica. Da quando mi sono trasferita ho iniziato a frequentare il Covo Club diventando quasi un membro onorario e ciò mi ha dato la possibilità di conoscere nuove band e approfondire il mio interesse verso quelle che ascolto da sempre. Principalmente interessata di indie/britpop, shoegaze/dreampop e cresciuta con gli Arctic Monkeys sono stata a numerosi concerti, dai “big names” come Kasabian, Libertines, Black Keys, Paolo Nutini, Florence + The Machine, The Wombats, Biffy Clyro, Pixies, Queens Of The Stone Age, passando per gli italiani Verdena, Giorgio Poi, Colombre, Dunk, Baustelle fino ai festival locali come “Beaches Brew” e “Handmade”.
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