Villa viaggia nelL’Etere, rinascendo
Non posso cominciare la recensione senza dedicare un po’ di spazio all’esteriorità di L’Etere. Innanzitutto, esclamazione di giubilo: che meraviglia! Stringere tra sè e sè un 7 pollici è un’emozione che non avevo ancora provato, una cosa di difficile occasionalità data la mia età anagrafica.
Nell’epoca in cui vi è lo spasmodico quanto bulimico spaccio dei singoli digitali ‘schiaffati’ in maniera tanto blanda quanto random su Spotify, sedersi su un divano e sorseggiare un calice nel mentre risuona un 45 giri – di musica nuova – è un atto di estrema bellezza.
Il 45 giri – come noto – si compone però normalmente di solo due tracce, e di questo purtroppo me ne rammarico. Avrei preferito che proseguisse sul piatto – predisposto ad hoc col riduttore – per almeno un’altra ora.
Il nuovo disco di Villa, progetto solista del bassista polistrumentista romagnolo Roberto Villa, si compone dell’omonima L’Etere e Rinascita, sul retro.
I due brani sono stati scritti, arrangiati e registrati su nastro presso L’Amor Mio Non Muore, studio di registrazione completamente analogico di cui l’autore stesso è co-fondatore.
Per il missaggio ed il mastering invece Villa si è affidato a Mark Nevers e Kim DeMain direttamente a Nashville. Un vero e proprio ponte ‘analogico’ sospeso tra Italia e Stati Uniti.
La peculiarità musicale del 7” sta anche nella presenza di due quartetti d’archi dialoganti, uno collocato a destra, l’altro a sinistra dello spettro sonoro, un’idea di toccante splendore.
L’Etere (track) è un combinato di beats di rullante, basso in sottotono, echi di chitarra in clean. Il synth riavvolge i suoni e li rende quieti, sino al ritorno smussante della ritmica volta a velocizzare la composizione. Ne la Rinascita, invece, il tocco di pianoforte con pedale offre una prospettiva romantica e malinconica al contempo, tra archi variopinti ed autonomi.
Riesco ad intravedere colori anche in composizioni in minore, come se da neonata fossi cullata da un caldo abbraccio materno, nonostante la nota dissonante in rilievo.
Un disco che, in soli sette minuti, riesce a commuovere.
Classe 93, laureata in giurisprudenza, specializzata in criminologia. Praticante avvocato, scrivo di politica e di diritto su diverse testate. Sono campana ma mi sono trasferita a Padova.
Sono appassionata di musica, suono il piano ed in passato ho suonato malissimo una sgangherata Soundstation mancina.
I miei generi preferiti sono il rock alternative, lo stoner e la musica classica. Sono stata una metallara nell’adolescenza, divorando con disinvoltura i dischi degli Slayer.
Il mio compositore preferito è Prokofiev ma se la gioca con Shostakovich. Amo Elliot Smith ed ascolto con “diligenza da scolara” cose che non conosco. Normalmente sono una tipa che si appassiona con facilità.
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