VIVA! Festival 2024: flussi elettronici in Valle d’Itria.
L’ottava edizione del VIVA! Festival si è svolta dal primo al 4 agosto in Valle d’Itria. Due le location: l’Egnazia Beach Club a Savelletri di Fasano (BR) per la serata d’apertura (VIVA! Brand New con Thru Collected, Elasi e Dov’è Liana) e il set all’alba di domenica 4 agosto di Giorgia Anguli; l’Arena Valle d’Itria a Locorotondo (BA) per i due giorni centrali del festival.
Negli anni il VIVA ha abituato il proprio pubblico a line-up di livello a tal punto da renderlo fra i principali boutique festival italiani, evento di spicco in una Puglia che ormai vanta innumerevoli eventi musicali durante tutta l’estate.
Abbiamo avuto la possibilità di seguire da vicino le serate del 2 e 3 agosto, e sin dal primo momento a spiccare, rispetto a tante altre realtà, è la scelta della location. L’Arena Valle d’Itria è situata ai piedi della collina di Locorotondo ed inevitabilmente l’atmosfera acquisisce valore: dalla visuale del palco basta girare leggermente lo sguardo verso sinistra per osservare la bellezza delle vigne e dei visual proiettati sui palazzi del borgo.
E mentre la gigantesca scritta “VIVA” si affaccia da Locorotondo e si “tuffa” in direzione Arena, ad aprire le danze (in tutti i sensi) per la serata di venerdì 2 è Godblesscomputers nello stage secondario, poco distante dal main stage e dedicato soprattutto ai dj set. Il festival inizia a riempirsi, la temperatura è più che piacevole per essere agli inizi di agosto e il set del producer italiano spazia fra folktronica, juke, IDM e footwork. Alle 21:00 in punto è il turno di Dardust, che battezza il palco principale con un set elettronico d’alto impatto visivo e sonoro; nell’ora a disposizione i tre musicisti sul palco danno vita a un climax che prende forma minuto dopo minuto, esaltando le percussioni che ben si sposano con le alchimie elettroniche di Dardust. Noto al grande pubblico soprattutto nelle vesti di produttore (sua la firma di tanti successi sanremesi), è anche un’occasione per venire a conoscenza delle sue grandi doti da musicista tramite un set ibrido in cui sperimentazione e accessibilità riescono a fondersi senza mai stancare.
Se la serata procede perfettamente da un punto di vista musicale, qualcosa nell’organizzazione inizia a incepparsi. Mentre Giulia Tess propone sullo stage secondario un buon set tra beat sincopati ed echi progressive house, all’entrata si percepisce un po’ di malumore tra le persone causa tempi d’attesa per entrare e per consumare. Il festival è cashless e l’idea di pagare tramite braccialetto (ricaricabile dall’app Slesh) funziona, ma non evita dei tempi d’attesa.
A spazzare via questi temporanei malumori ci pensano gli Air che, puntualissimi alle 22:45, salgono sul palco, o meglio all’interno di una sorta di cornice rettangolare che stanno adoperando durante l’intero tour come se fosse un contenitore multiforme capace di trasformarsi pezzo dopo pezzo a seconda dell’occasione. Interamente vestiti di bianco in quello che sembra essere un ambiente asettico, la coppia Nicolas Godin / Jean-Benoit Dunckel, accompagnati dal batterista Louis Delorme, dà via al concerto con la celebrazione dei 25 anni del capolavoro Moon Safari, presentato integralmente e seguendo la scaletta in modo certosino. Inevitabilmente, dunque, è La Femme d’Argent ad infiammare il pubblico, che va subito in visibilio grazie a una versione perfetta del brano, con una coda di natura a tratti post-rock e a tratti psichedelica capace di creare immediatamente un’atmosfera vibrante ed unica. L’anthem Sexy Boy fa impazzire tutti e quasi dispiace giocarsela a inizio concerto, così come la successiva doppietta All I Need – Kelly Watch the Stars: nel primo caso l’assenza di Beth Hirsch è parzialmente rimpiazzata dalla sua voce campionata, mentre nel secondo a spiccare è la partita di ping pong nel rettangolo mentre le tastiere infiammano ulteriormente l’atmosfera. La celebrazione di Moon Safari prosegue spedita e si conclude, inevitabilmente, con Le Voyage de Penelope, al termine della quale si percepisce la grandezza non solo di un disco che ha fatto la storia ma anche la capacità con cui gli Air sono riusciti a riproporlo (e in alcuni casi a reinterpretarlo) a distanza di 25 anni. Ma non è tutto. Dopo una breve pausa c’è una seconda parte di set, un “Best of”; spaziando nella loro produzione, a colpire è la maestria con cui i francesi riescono a dimostrarsi padroni di un’elettronica a tutto tondo, sebbene i momenti di maggior tasso emotivo siano legati a Highscool Lover e a una Don’t Be Light semplicemente maestosa. Come spesso accade nei tour celebrativi, la grandezza degli Air non è solo quella di dare giustizia dal vivo a un capolavoro del passato, ma anche quella di proporre una seconda parte di set all’altezza della prima. Insomma, c’è soprattutto Moon Safari, ma non solo.
Nella soddisfazione generale, al termine del concerto Giulia Tess riprende il discorso là dove l’aveva lasciato sullo stage secondario, mentre nel principale il palco viene smontato per preparare la postazione dei The Blaze. Il dj set del duo francese rispetta le aspettative, per quanto alla lunga risulti un po’ normalizzato: ottima la parte visual, mentre la loro deep house assume poche sfumature ma tutto sommato incisive, scatenando un pubblico numeroso e coinvolto.
Si conclude così la prima delle due serate all’Arena Valle d’Itria, che ci aspetta di nuovo alle 20:00 del sabato per il set di Whitemary, costretta a ritardare di circa mezz’ora il live a causa della pioggia che non smetterà comunque di accompagnarla durante l’intero concerto, in cui presenta “New Bianchini”, il nuovo album che uscirà dopo l’estate. La sua proposta in versione “soundsystem” la vede in compagnia solo dei synth, i brani seguono un filone electropop/synthpop che ricorda un mix tra Cosmo e Mace, e il concerto risulta una piacevole scoperta.
Venerus è invece una certezza dal vivo, complice l’alto livello del gruppo che l’accompagna e gli dà la possibilità di esprimere la propria musica in modo completamente libero e lontano da preoccupazioni formali. Focalizzatosi principalmente sull’album Il Segreto, uscito l’anno scorso, le varie Sai che c’è? e Fantasia rapiscono il numeroso pubblico che era lì appositamente per lui. Un’ora di concerto che funziona, tanto nei momenti più intimi, quando sul palco restano in due, chitarra e voce, quanto nelle festose e lunghe jam come quella finale in cui il cantante milanese si lancia nel pubblico con tamburello e videocamera saltando e ballando mentre sul palco il suo gruppo dà vita a una lunga catarsi strumentale.
Sul palco secondario segue Nooriyah, il cui dj set è decisamente più commerciale rispetto alle proposte sentite il giorno precedente, mentre il “Club Shy” di Shygirl convince solo fino a un certo punto. Spazia tanto, tocca vari generi pur restando assolutamente accessibile a tutti, ma non le si perdonano alcune discese nel raggaeton/neoperreo, controbilanciate fortunatamente da momenti in cui esce fuori solo la sua natura hip hop, decisamente quella più apprezzabile. Restano i dubbi di vederla in una serata in cui sono gli Underworld a fare da headliner, ma in mezzo c’è il set di Logic1000, decisamente più in linea e azzeccato, una buona “apertura” che tocca deep house, progressive breaks e tech house.
Ma è inutile nasconderlo: l’attesa è tutta per Karl Hyde e Rick Smith, che salgono sul main stage alle 01:15, infiammando il numeroso pubblico non appena si presentano dietro la postazione. Sarebbe riduttivo definire quella degli Underworld come una semplice festa, ma è così per un’ora e un quarto senza la minima interruzione. Non c’è spazio né momento per rifiatare, non esistono tempi morti, la scarica di adrenalina ed energia è un flusso ininterrotto impossibile da scalfire. In realtà dietro quest’apparenza c’è un live studiato e cadenzato alla perfezione, in cui nulla è lasciato al caso: Hyde è un frontman dal carisma incommensurabile, Smith un alchimista capace di dar vita tanto a drop incendiari quanto a beat leggermente più riflessivi. I due ormai sono una macchina collaudata che procede spedita da Two Months Off passando per Rez / Cowgirl e Pearl’s Girl (Tin There) fino all’inevitabile conclusione di Born Slippy, attesa e celebrata come una messa elettronica, che manda a casa il pubblico felice e ancora colmo d’adrenalina. A colpire del concerto degli Underworld è, in sintesi, la padronanza dei propri mezzi nascosta dietro la patina festosa prima accennata, ma che in realtà mostra due professionisti con pochi rivali. Il risultato è uno dei migliori live elettronici a cui è possibile assistere ancora nel 2024, segno dell’immortalità del duo.
Si conclude nel migliore dei modi l’esperienza a Locorotondo, al termine di un’edizione del VIVA! Festival che non delude da un punto di vista strettamente musicale. Le scelte della direzione artistica si confermano (quasi) tutte azzeccate, e riescono a far dimenticare i problemi di logistica del primo giorno, oltre che le inevitabili difficoltà legate ad alloggi e trasporti. Il VIVA è ormai una realtà consolidata, un boutique festival che in rapporto qualità/esperienza riesce a mantenere uno standard alto, cosa non scontata nel turbolento universo dei festival italiani.
Foto fonte: Instagram
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.
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