Portrait è una celebrazione e un manifesto del distacco dal clamore della vita moderna, in favore di uno stile musicale e di vita più semplice
Se avete qualcosa di impegnativo da fare e volete musica di sottofondo, o se avete intenzione di mettere su qualcosa da ascoltare mentre aspettate di prendere sonno, sappiate che Portrait, l’ultimo mastodontico lavoro partorito dal genio di Yann Tiersen, non è affatto ciò che state cercando. Non è questione solo di numero di tracce o, più brutalmente, di durata, perché a questo siamo abituati; il punto è che Portrait richiede attenzione, dedizione all’ascolto e massima concentrazione.
Prima, un po’ di contesto. Tiersen ha alle spalle 25 anni di onorata carriera, un traguardo che l’artista bretone sembra aver inteso come un giro di boa importante. Nella dimensione riflessiva e introspettiva di quella Île d’Ouessant ormai diventata stabile rifugio dalla frenesia del vivere parigino, Tiersen ha ideato e partorito la sua trilogia del ritorno alla natura (Infinity, EUSA, ALL); oggi, allo scoccare del quarto di secolo, è giunto per lui il momento di tirare alcune somme. L’operazione Portrait diventa allora l’occasione per reinterpretare il suo passato, con (guarda caso) 25 brani di cui solo 3 sono degli inediti.
La solitudine della Ouessant non è mai stata, per Tiersen, una scusa per chiudersi in sé stesso e sbarrare la strada alle contaminazioni e alle collaborazioni. Portrait non fa eccezione e diventa una sorta di festa di compleanno piena di invitati illustri e degli amici di sempre: Stephen O’Malley, Gruff Rhys, sua moglie Emilie, Ólavur Jákupsson, John Grant, Blonde Redhead. Se ancora non fosse chiaro il peso malinconico di questa mastodontica revisione artistica, sappiate che il disco è stato registrato nello studio domestico The Euskal (che si trova sull’isola) con un approccio completamente analogico, ossia in presa diretta su nastro da 2 pollici, mixato su nastro stereo ¼ e infine masterizzato da nastro a vinile.
Ricapitolando: 25 anni dopo il suo debutto nel mondo della musica, Yann Tiersen, nel corso del suo ritiro artistico su un’idilliaca isola della Bretagna che conta appena 888 abitanti, chiama a raccolta amici e colleghi nel suo studio domestico per mettere insieme una reinterpretazione di alcuni brani del suo passato più o meno recente, bandendo quasi del tutto il digitale dalla fase di registrazione. Sarebbe lecito, a questo punto, immaginare sulla scena pesanti maglioni di lana dalle trame imbarazzanti, tazze fumanti di vin brulè e un sontuoso odore di autocelebrazione misto a nostalgia dei bei tempi andati.
Se avete familiarità con il repertorio Tierseniano, c’è poco o nulla che dobbiate sapere sulle “nuove” versioni dei brani più risalenti; la versione Portrait del Valzer dei Mostri (lo dico in italiano, tanto ormai le barriere linguistiche sui titoli sembrano essere del tutto cadute) è una sintesi tra le due edizioni originali, quella per fisarmonica e quella per piano giocattolo, Comptine d’Un Autre Été è rimasta sostanzialmente immutata mentre Rue des Cascades ha forse perso qualcosa rispetto al passato in termini di personalità.
Decisamente più incisivi gli interventi su brani più recenti, come Prad che abbandona il canto degli uccelli in favore della chitarra distorta di Stephen O’Malley, o come Erc’h, in cui pure spariscono rumori di volatili e suoni naturali per dare al cantato di Ólavur Jákupsson una maggiore solennità. Menzione d’onore alla nuova Closer, impreziosita dalle voci di Kazu Makino e di Amedeo Pace, e alla recitazione di John Grant in Thinking Like A Mountain, in cui le parole di Aldo Leopold, sottolineate dalla musica di Tiersen e O’Malley, diventano scosse elettriche dirette al cuore della nostra rinnovata sensibilità ambientalista.
Portrait non aggiunge e non sottrae nulla alla produzione artistica di un musicista navigato come Yann Tiersen; difatti, l’intero album serve da retrospettiva su un percorso lungo, attraversata spesso con discrezione e che ha portato l’artista bretone sempre più lontano dai riflettori e dai grandi circuiti discografici. Non avevamo certo bisogno di conferme sulla qualità eccelsa della musica di Tiersen, per cui Portrait va preso per quel che è: una celebrazione, un premio alla carriera e un manifesto del distacco dal clamore della vita moderna, in favore di uno stile (musicale e di vita) più semplice.
Troppo scoordinato per essere un musicista, troppo stonato per cantare, troppo povero per fare il produttore, sin dalla tenera età si decide a stare dal lato più affollato dei concerti (con l’eccezione di quelli di Bruce Springsteen, dove contare i membri della band è un’impresa). Cresciuto a pane e blues (a volte solo il secondo), dimostra sin da subito una straordinaria abilità nel ricordare a memoria i testi delle canzoni, il che purtroppo non gli è stato di nessun aiuto durante gli anni della scuola. Laureatosi con disonore nel 2015 in Giurisprudenza, oggi è avvocato, progettista, grafico, artigiano del cuoio, il tutto disponendo comunque della classica dotazione di due arti per lato del corpo, una coppia di orecchie ed un’unica, del tutto ordinaria massa cerebrale.
[gs-fb-comments]
Commenti recenti