Alla ricerca della realtà con Zero Portrait
No filter
Non farsi narcotizzare dalla società: questo è l’obiettivo di Zero Portrait e del suo lavoro musicale. La sua esperienza di dj e la collaborazione con numerosi artisti, oltre al suo percorso artistico e di ricerca, ha condotto il beetmaker di adozione romana al primo lavoro discografico. L’Ep di lancio è Pulp, in uscita l’8 maggio 2020 per l’Antistandard Records, è estremamente contemporaneo, quanto impregnato di suoni del passato.
Per parlare di Pulp è opportuno risalire all’intento che lo muove e all’idea di clubbing innovativo, come incontro di tutti, lontano dall’idea consumistica di musica. Nessuna immagine scintillante, né una catalogazione classica, Zero Portrait vuole uscire dalla zona di confort dei classici club dove tutto è patinato e social. Non a caso, Pulp è la sostanza, la polpa, ciò che è concreto e reale, che vive di notte, nell’oscurità dove è difficile guardare, ma che vale la pena raccontare.
W.A.N.F.A. (WeAreNotFriendsAnymore) apre l’Ep, prodotta da un digging complusivo, che critica i finti rapporti di amicizia creati dai social e che spesso confinano ancora di più nell’isolamento e nell’emarginazione. Interessante la sonorità tribale di sottofondo. Fauna, subito dopo, è il singolo che ha presentato Pulp, inciso insieme ad Agronomist e vero manifesto di tutto il lavoro. È qui che si esprime al meglio il cuore dell’intento artistico dei due che, insieme raccontato il malessere, la depressione e l’angoscia social e sociale, osservando la notte delle strade, di Piazza Vittoria, piena di persone lasciate ai margini. Ecco fin dove arriva quella concretezza, questa è la vera polpa. Vite vere di cui parlare, da elogiare, li ho visti e mi hanno insegnato il mondo.
Moroccan Sun è un pezzo pieno di ritmi africani, melodie magrebine, riverberi giamaicani che Zero Portrait avverte nella pancia, per le strade di una Roma deserta ad agosto. Anche qui è inevitabile sentire quel richiamo interno, quella ricerca di scavare affondo, ritrovando anche suoni tribali, molto profondi, che vengono da culture antiche, dove tutto ha avuto inizio. Gentrified Kids perpetua l’aspetto simbolico di Pulp, laddove la rigenerazione urbana non cambia i palazzi e i negozi, ma i ragazzi, generazioni di passaggio che si trovano, senza strumenti, a gestire un mondo nuovo. La sensazione di smarrimento è palese dalla manipolazione dei suoni.
Chiude Babylon, con riferimenti ai soundsystem giamaicani misti ai suoni britannici della windcrush generation. Urlo di liberazione, è ricco di altri spunti musicali, dagli anni ’90 alla jungle, una frenesia senza freno, perfetta per lasciare quel sapore di curiosità e amarezza che sta tutto dentro Pulp.
Il mio nome è Mary, sono nata nel 1990. La città da cui vengo è Sessa Aurunca, una collina tra Lazio e Campania; la città che ho scelto è Napoli, dove mi sono laureata in Scienze Politiche e dove scappo sempre, ogni volta che posso. Adoro cucinare e avere un bicchiere di vino in mano. Ho sempre scritto per amore, per me stessa, perché non conosco un altro modo per parlare di ciò che nella vita è importante, delle mie passioni, dei miei dolori. Molto semplicemente non conosco un altro modo per parlare della mia anima: ecco perché scrivo di musica.
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